Resilienza o Antifragilità? Come usciremo da questa pandemia mondiale
Chiusi nelle nostre case, privati delle nostre primarie libertà, mentre alcuni di noi riscoprono il piacere della buona cucina e della famiglia ritrovata, altri vivono il terrore di convivenze sbagliate, di solitudini soffocanti e di disagio amplificato. In questo clima di generale incertezza verso il futuro prossimo e lontano, i più ottimisti invocano il tanto amato e abusato principio della resilienza.
Nella fisica dei materiali, la resilienza è definita come la “capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi” e allo stesso modo nelle scienze sociali viene utilizzata per descrivere “la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà”. Pertanto l’obiettivo è quello di aiutare persone, comunità e organizzazioni a resistere alle perturbazioni e superare questo profondo momento di crisi.
La verità però è che il nostro sistema aveva ed ha molti gap, profonde ingiustizie e diverse contraddizioni, ed è proprio per questo che si dovrebbe sperare e lavorare affinché non si esca dalla crisi sostanzialmente identici a prima, come auspicherebbe il concetto di resilienza. Non basta non essere danneggiati e ritornare alla stessa vita, le crisi devono diventare, come è sempre accaduto nel corso della storia, momenti di crescita e di evoluzione.
Da questa crisi quindi dobbiamo trarre linfa per migliorare!
Ed ecco allora che dobbiamo rifarci non tanto al concetto di resilienza ma a quello di antifragilità teorizzato da Nassim Taleb nel 2012.
Antifragilità, dice l’autore, come antitesi alla fragilità, a qualcosa di delicato, da maneggiare con cura e che rischia di rompersi. Nel linguaggio comune infatti contrapponiamo alla parola fragile il termine robusto, indicando qualcosa di resistente. Ma il concetto di robusto non è valido in assoluto, dipende sempre dallo stress a cui una cosa robusta viene sottoposta.
Una sedia, un tavolo possono essere resistenti rispetto al loro normale utilizzo, ma se aumentassimo lo stress a cui sono normalmente esposti, per esempio con 10/15 persone sopra, ecco che essi si romperebbero.
Un sistema dunque che consideriamo robusto può in un attimo, diventare fragile e per questo non può considerarsi il suo opposto.
Taleb parla di fragilità negativa opposta alla fragilità positiva e non essendoci dunque un termine corretto come molte delle cose della nostra vita, arriva al neologismo antifragile.
Non possiamo evitare l’imprevedibile, non possiamo tenere sotto controllo tutto e calcolare ogni rischio che corriamo, possiamo invece capire come diventare antifragili, come poter crescere e prosperare nel disordine e nel caos.
La cultura popolare infatti ci insegna, più della scienza, come diverse persone riescano dopo eventi dolorosi a superare se stessi, in quella che definiamo crescita post traumatica. “Le avversità aguzzano l’ingegno” ci dicevano.
Taleb scrive sul suo libro infatti che “L’energia in eccesso che scaturisce dall’iper-reazione di fronte a una difficoltà è ciò che ci permette di innovare”.
Le grandi innovazioni non sono partite da situazioni di agio, ma dall’urgenza e dalla necessità, che quindi diventano madri del progresso.
Possiamo dunque e dobbiamo far si che questo periodo non passi nelle nostre vite senza lasciar traccia. Al di la di ciò che cambierà nelle nostre abitudini come imposizione, possiamo usare questo tempo e questa rottura per capire chi siamo, cosa veramente ci piace e chi vogliamo diventare, pensando una strategia e disegnando un percorso.
Possiamo diventare i changemaker delle nostre vite, delle organizzazioni di cui siamo parte e delle nostre comunità, ma potrà farlo solo chi riuscirà ad avere una visione anche in tempi in cui la luce sembra spenta e la foschia tanta.
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